Il mago acchiappasogni

Era una calda serata d’estate. Le lucciole volteggiavano nell’aria confondendosi in alto con le stelle. Un leggero fruscio di vento tra le foglie rompeva il silenzio e, qua e là, lo squittio dei pipistrelli e il frinire dei grilli.

David stava sdraiato sull’erba soffice, sotto il grande ciliegio e fissava rapito la distesa di stelle. Cercava la Stella Polare, il Grande Carro, immaginava strane forme tra gli astri della Via Lattea. Di tanto in tanto spostava gli occhi dal cielo e si guardava intorno. Gli alberi e i cespugli disegnavano ombre più scure della notte e i rumori, nel silenzio, gli sembravano voci che bisbigliavano strani e oscuri discorsi. Allora gli sembrava di vedere muoversi nel buio esseri strani e la sua mente pensava agli elfi, agli gnomi, alle creature della notte.
“Sono solo favole – pensava riscuotendosi – e le favole non possono farci del male”.
E riportava gli occhi alla luce delle stelle per dimenticare il buio.
Non voleva tornare in casa, però. Voleva restare da solo, immerso nell’ombra, a respirare l’odore del fieno e a seguire le lucciole. Non voleva rientrare, andare a letto, addormentarsi. Il sonno porta strani sogni, a volte. I sogni di David erano spesso più scuri della notte, popolati di mostri, maghi e streghe maligne. Meglio le ombre della notte, il vento e le stelle.
“David, entra in casa! E’ ora di andare a letto!”
“Un minuto, mamma!”
“Subito, David! Lavati, vai a letto e spegni la luce!”
Lentamente, di malavoglia, David si alzò ed entrò in casa. Dopo essersi lavato e messo il pigiama, si infilò nel suo lettino sospirando al pensiero di addormentarsi.
I passi della mamma in corridoio lo rincuorarono un poco. Ella entrò nella cameretta e si sedette sul letto.
“Dormi bene, David”, disse posandogli un bacio sulla fronte e uscendo.
“Non ho sonno – si disse David – leggerò una storia …”
Prese il grande libro delle favole che era sempre sopra il suo comodino e cominciò a leggere.

“C’era una volta una terra lontana divisa in due regni. Il primo era il regno di Roselia, governato da un saggio re che viveva con la buona regina sua moglie in un grande castello sopra la collina. Essi avevano una sola figlia, bella, aggraziata e assennata che si chiamava Aurora, perché era luminosa come il giorno e portava la gioia ovunque andasse.
Al di là di una grande foresta, c’era il regno di Iridia, il paese della luce e dei colori, governato da un buon re rimasto molto presto vedovo. Egli aveva un unico figlio, il principe Elmo, che era la sua gioia e la sua consolazione. Alla morte della sua amata moglie, il re aveva cercato di allevare il suo unico figlio insegnandogli ad essere una persona leale, generosa e giusta, in modo che un giorno potesse diventare un buon re per i suoi cittadini. Infatti il principe era cresciuto con tutte le migliori virtù e il popolo già lo amava e lo stimava profondamente.
La vita scorreva serena e tranquilla nei due regni e la gente viveva sicura di un prospero avvenire.
Quando Elmo compì diciotto anni, il re organizzò una grande festa a cui parteciparono tutti i sovrani vicini. Anche il re e la regina di Roselia erano presenti, insieme ad Aurora che aveva allora qualche anno in meno di Elmo. Il principe rimase molto colpito dalla bellezza e dalla grazia della sua giovane vicina e passò gran parte del tempo con lei, ballando e parlando di mille cose. In cuor suo sperava già, di lì a qualche anno, di chiedere in moglie quella ragazza così intelligente e saggia: sarebbe stata per lui la migliore moglie, la migliore madre per i loro figli e un’ottima regina per i suoi cittadini. Anche Ambra fu affascinata dal principe e, nel suo cuore di fanciulla, cominciò a nascere la speranza che un giorno egli potesse innamorarsi di lei. La simpatia tra i due giovani non passò inosservata ai sovrani che se ne rallegrarono molto. Tra Iridia e Roselia c’era da sempre profonda amicizia e collaborazione: cosa ci sarebbe stato di meglio se un matrimonio avesse rafforzato ancora di più i legami facendo diventare i due paesi uno solo?
La festa era al culmine, quando, inaspettata e sgradita, apparve Fosca, la Strega delle Foreste del Nord. Era una sovrana bellissima e altera, ma molto malvagia e temuta. Il suo regno si estendeva sulle terre fredde e gelide a nord di Iridia, tra foreste cupe e laghi perennemente gelati, mai raggiunti dalla luce e dal calore del sole. Fosca non aveva mai nascosto le sue mire sulle terre di Iridia: appena la buona regina era morta, aveva offerto al re la propria mano con la proposta di unire i due regni. Il re, ancora inconsolabile per la perdita della sua giovane moglie, aveva rifiutato, conoscendo oltretutto la malvagità della sua vicina; mai avrebbe dato per matrigna a suo figlio una persona tanto cattiva.
Fra la gente cominciò a serpeggiare addirittura il sospetto che fosse stato un incantesimo di Fosca ad uccidere la loro regina.
Il rifiuto del re non fu naturalmente accolto bene da Fosca che si congedò da lui con questa oscura promessa:
“Quando tuo figlio avrà l’età per succederti, tornerò per lui: forse sarà più accorto di te.”
Si può quindi immaginare lo sconcerto e l’orrore che la presenza della strega portò fra i presenti alla festa.
“Sono tornata ad onorare la mia promessa. – esordì Fosca – Elmo ha l’età per prendere moglie”.
Si avvicinò al principe che era rimasto sconcertato da quella presenza e proseguì, rivolta a lui:
“Ti offro me stessa, la mia bellezza, l’eterna giovinezza, le mie immense ricchezze. Se mi sposerai le immense terre del Nord saranno tue e sarai uno dei sovrani più potenti della terra. La mia magia sarà al tuo servizio; non ci saranno confini al tuo potere. Basta una tua parola…”
Il re, sdegnato, si scagliò contro la strega: “Non ti basta, maledetta, di avere tramato contro la mia povera moglie, di avere avuto il coraggio di proporre a me di prendere il suo posto non appena lei era morta! Ora sei qui per insidiare mio figlio! Vattene, malvagia, togliti dalla mia presenza!”
“Lascia parlare tuo figlio – ribatté Fosca – egli è grande abbastanza per decidere da solo. Ebbene, Elmo, non ho ancora sentito la tua voce …”
Il giovane principe, disgustato da tanta sfrontatezza, rispose con estrema freddezza:
“Non sarò io ad uccidere un’altra volta mia madre. Fin da quando ero bambino ho sentito parlare di te. Finalmente posso vederti. La tua bellezza è grande, ma i tuoi occhi lasciano vedere la tua malvagità. Non mi interessano le tue ricchezze, il tuo potere, né il tuo gelido Paese. Qui ho tutto ciò che amo: ciò che mi offri somiglia alla morte. “
Detto questo, non sopportandone più la presenza, si allontanò da Fosca e si mise accanto al padre. La strega, infuriata per l’ennesimo rifiuto, lanciò una tremenda maledizione:
“Non arriverà una nuova luna e questo Paese sarà più oscuro del mio. Sole colori, feste, tutto scomparirà. Non hai voluto il freddo del mio Paese, Elmo: ebbene, il freddo sarà per sempre dentro al tuo cuore, invaderà la tua anima, calerà sulla tua terra. Nulla potrà liberarti: né luce di sole, né amore di fanciulla. Chi ti offrirà amore avrà in cambio dolore e morte. Allontanerai tutti da te, paura e odio saranno la tua ombra, la solitudine e il buio saranno i tuoi compagni, e Iridia sarà per sempre e per tutti il Paese delle Ombre”.
Fosca scomparve in un fragore di tuoni e in un baluginare di lampi. Nel salone delle feste calò un grande silenzio. La festa era ormai rovinata. Piano piano gli invitati se ne andarono, esprimendo nel loro saluto tutta la propria solidarietà e amicizia ad Elmo e a suo padre. I sovrani di Roselia furono gli ultimi ad andarsene, non volendo lasciare soli i propri amici. Alla partenza, Elmo strinse la mano ad Aurora e la guardò con immensa tristezza. Il suo cuore era colmo di oscuri presagi ed egli temeva che non avrebbe più rivisto la sua giovane amica.
Purtroppo i presentimenti di Elmo si rivelarono ben presto fondati. Passarono appena pochi giorni e il buon re di Iridia morì. Si avverò allora la maledizione della strega: sul Paese scesero le ombre, non si vide più il sole, il freddo e il gelo cancellarono i colori.
Il cuore di Elmo divenne duro e arido. Egli allontanò tutti da sé e si rinchiuse, solo, nel grande castello. Nessuno riuscì più a parlargli, né amici, né sudditi. Ordinò che i confini del regno venissero chiusi. Di Iridia, che per tutti era ora il Paese delle Ombre, si parlò da allora in poi solo con timore, a bassa voce. Nessuna notizia arrivava da là e nessuno osava avvicinarsi. Coloro che avevano osato oltrepassare la Foresta dei Sogni Perduti, che segnava il confine tra il regno di Aurora e quello di Elmo, erano rimasti imprigionati nella Palude del Drago e non erano tornati indietro.
I rapporti prima amichevoli tra Roselia e il suo vicino si interruppero bruscamente: anche gli abitanti dei due Paesi, prima abituati a frequentarsi regolarmente e a scambiarsi notizie e prodotti, non poterono più incontrarsi.

Passarono così alcuni anni.

Quando Aurora fu in età da marito, molti principi la chiesero in sposa. Ella pensava sempre ad Elmo e il suo cuore era molto triste. Sapeva che i suoi sogni di fanciulla non si sarebbero mai avverati: non avrebbe mai potuto sposare il suo principe, perché egli, ormai, non esisteva più.
Con grande sorpresa di tutti, un giorno un messaggero giunse dal Paese delle Ombre. Elmo chiedeva in sposa Aurora. I genitori della principessa si preoccuparono molto.
“Non possiamo dare in sposa la nostra amatissima figlia ad un uomo che la trascinerà nell’infelicità e nel buio” – disse la regina.
“Sono d’accordo con te, mia cara – rispose il re – faremo tutto ciò che ci è possibile perché questo non avvenga. Chiederemo aiuto ai saggi del regno, ai nostri consiglieri. Cercheremo un modo per rispondere ad Elmo”.
Essi sapevano però quanto potesse diventare furioso e vendicativo il loro vicino quando qualcosa lo contrariava. Diversi principi dei paesi circostanti avevano visto le proprie terre devastate dai soldati di Elmo solo perché un boscaiolo aveva osato far legna o dei ragazzi avevano raccolto i frutti al di là del confine.
I buoni sovrani erano preoccupati per la sorte del loro popolo che era finora vissuto in pace e prosperità, grazie alla saggezza con cui il re e la regina e i loro avi prima di loro avevano governato. Essi erano sempre vissuti in pace con i propri vicini ed era da così lungo tempo che a Roselia non c’erano state guerre, che la gente non ne aveva memoria e il Paese non aveva soldati.
Aurora, intanto, era sempre più triste. Si sforzava di essere allegra e sorridente, per non preoccupare i suoi genitori, ma i suoi occhi tradivano il suo tormento.
“Né luce di sole, né amore di fanciulla potranno liberarti. Chi ti offrirà amore avrà in cambio dolore e morte” aveva detto la Strega. Aurora ricordava bene le terribili parole.
I messaggeri del Paese delle Ombre tornarono con il rifiuto dei sovrani di Roselia.
La risposta di Elmo non si fece attendere. Rimandò gli ambasciatori con un messaggio agghiacciante:
“Nessuno può rifiutare qualcosa al Principe delle Ombre. Aurora sarà mia sposa,e se non sarà per vostro volere, sarà per forza. Non ci sarà luogo in cui potrà essere nascosta, non ci sarà esercito che potrà difenderla. Ho deciso che sarà mia e verrò a prenderla”.
Leggendo le parole di Elmo, la principessa si disperò.
“Se il mio amore servisse a liberarti non esiterei un attimo. Ma le tue parole sono colme di risentimento e di odio. Non una di esse parla di amore, di tenerezza, di speranza. Solo dolore e morte sono con te, mio povero Elmo. Non c’è speranza per noi”.
I cittadini di Roselia si strinsero tutti intorno alla famiglia reale e tutti gli uomini del Paese si offrirono per organizzare turni di guardia al castello perché nessuno potesse fare del male alla principessa.

Ma un giorno quello che tutti temevano accadde. Verso il tramonto, Aurora stava passeggiando nei giardini del castello. Tutto intorno era tranquillo e niente faceva pensare alla tragedia che fra poco sarebbe accaduta. All’improvviso nell’aria si levò uno strano ed enorme uccello nero, dal lungo becco appuntito, le zampe e la coda come quelle di un rettile e una fila di creste squamose sulla schiena.
Come un fulmine si calò a terra e strinse tra i suoi artigli la giovane principessa allontanandosi velocemente com’era venuto. Lo videro oltrepassare la Foresta dei Sogni Perduti e proseguire verso il Paese delle Ombre. A nulla valsero le frecce lanciate dalle guardie. Aurora era scomparsa, rapita e portata nel regno di Elmo.
I sovrani, disperati, chiamarono in aiuto Viola, la fata della Foresta dei Sogni Perduti, che era stata sempre loro amica e che conosceva bene l’incantesimo della sua acerrima nemica, la Strega delle Foreste del Nord. Sentendo la storia, Viola scosse tristemente il capo.
“L’incantesimo che ha imprigionato il principe Elmo e il suo regno – disse – è molto crudele. Il povero giovane è condannato per sempre nel buio e nella solitudine. Solo un ragazzo dall’animo forte e puro potrà liberarlo, salvando così anche Aurora. Dovrà combattere contro il Drago della Palude; è stato lui a rapire Aurora ed è lui che difende l’incantesimo della strega mia nemica. Ma questo atto eroico potrebbe costare la vita al giovane cavaliere.”
I buoni sovrani inorridirono a queste parole.
“Non possiamo sacrificare la vita di un ragazzo innocente per salvare nostra figlia.“
“C’è una speranza per il giovane cavaliere che accetterà la sfida del drago” – proseguì pensosamente Viola. “Il mago che abita la Foresta dei Sogni Perduti potrebbe aiutarlo con il potere delle sue pietre magiche.”
“E come potremo trovare questo giovane?” – chiesero i sovrani ritrovando un po’ di speranza.
“Verrà lui dal Paese delle Antiche Storie e allora il destino di tutti si compirà. Io cercherò di aiutarlo a trovare il mago, ma poi dovrà essere capace di seguire la luce ….”
Con queste misteriose parole Viola scomparve.

“Che strana storia – si disse David – mi fa una strana impressione. E’ come se non riuscissi a smettere di leggere e dovessi finire la storia”.
Continuò a leggere, ma le parole si confondevano davanti ai suoi occhi e diventavano nebbia, una nebbia fitta che sembrava circondare tutta la stanza.

David, sconcertato, scese dal letto e non trovò più sotto i piedi il soffice tappeto di lana, ma un mare di fango dove sprofondava fin quasi alle ginocchia.
Intorno a lui non c’erano più le pareti, ma la nebbia fitta di prima, in mezzo alla quale si distinguevano ombre scure di alberi e cespugli dai rami avviluppanti e dalle radici nodose che sembravano stringersi intorno alle sue caviglie, rallentandogli ancora di più il passo.
“Ma dove sono capitato?” si chiese angosciato. “Che luogo è mai questo? Dov’è finita la mia casa?” Solo buio e solitudine lo circondavano. Atterrito, gridò invocando aiuto, ma gli rispose solo l’eco, attutito dalla nebbia.
Continuò a camminare a fatica nel mare di fango che lo circondava, senza potersi orientare, né vedere dove i suoi passi lo portassero. Procedendo nel buio, lentamente i suoi occhi si abituavano ed egli cominciava a distinguere tra le ombre, gli alberi, i cespugli, le rocce. Percepiva adesso anche dei piccoli esseri che si muovevano tra la vegetazione. Parevano alti quanto un fiore o un piccolo arbusto e si agitavano freneticamente, saltellando qua e la bisbigliando e mormorando in una lingua sconosciuta.
Appena si accorsero della presenza di David, si fermarono e poi si accalcarono intorno a lui, curiosi. Chi gli saltava sulle spalle, chi sulla testa, uno gli tirava i capelli, l’altro gli pizzicava le orecchie. Ridacchiavano dispettosi, agitando le loro orecchie stranamente lunghe e appuntite.
“Chi siete voi? E dove ci troviamo?” – provò a chiedere David.
Le strane creature, alla voce del ragazzo, si guardarono incuriosite e parlottarono un po’ tra loro. Alla fine uno di essi si decise a rispondere.
“Siamo nella Palude del Drago e noi siamo i Folletti che abitano qui. Alle tue spalle c’è la Foresta dei Sogni Perduti. Se vieni da lì, faresti bene a tornare indietro in fretta, prima che il Drago si svegli…”
“La Palude del Drago? La Foresta dei Sogni Perduti? Mi state prendendo in giro! Questa è la favola che stavo leggendo!”
David era sconcertato e spaventato. Com’era possibile che fosse piombato dentro la storia? Forse si era addormentato e stava sognando … Ma il freddo dell’acqua gli stava gelando i piedi e i pizzicotti dei folletti gli avevano fatto male davvero. Non poteva essere un sogno…
I folletti furono molto colpiti dalle parole di David. Si strinsero attorno a lui ed esclamarono:
“Allora tu vieni dal Paese delle Antiche Storie e sei qui per liberare Aurora! Tu sei il giovane cavaliere di cui parlano le profezie del nostro popolo!”
“Macché cavaliere! Io sono solo un bambino!”
“Tu sei David e sei qui per liberare il Paese delle Ombre dall’incantesimo! Tu puoi salvare Elmo ed Aurora. Tu puoi uccidere il Drago della Palude!”
Poco convinto, David proseguì il suo cammino, mentre i folletti lo incitavano, gli gridavano consigli e suggerimenti.
La foresta era sempre più fitta in un intrico di rami, cespugli, liane, radici affioranti. La nebbia si alzava dal fango in fitte volute e avvolgeva tutto. Ovattato, nel buio, David udì un rumore sordo, come se ci fosse un esercito di taglialegna che usava le scuri sui tronchi.
“Non può essere – si disse David – chi vuoi che lavori di notte in questo inferno? Solo dei pazzi potrebbero pensare di far legna in una notte simile!”
Mano a mano che procedeva i rumori si facevano sempre più nitidi. Avvicinandosi, scorse ai propri piedi tanti piccoli omini intenti a tagliare i fusti dei cespugli con le loro minuscole scuri. Ce n’erano di tutte le età, alcuni giovani, altri quasi bambini, altri ancora vecchi, con lunghe barbe bianche. Indossavano giubbe e calzoni rossi, azzurri, verdi e buffi alti cappelli a punta. Le donne, che indossavano vestiti lunghi d’altri tempi e cuffiette bianche, affastellavano la legna tagliata e cantavano. David si avvicinò pian piano, attento a non urtare nessuno di quei piccoli esseri, il più alto dei quali gli arrivava poco sopra le caviglie.
“Chi siete?” chiese.
Spaventati da quella voce, gli omini smisero di lavorare e, quando videro quel giovane gigante, si radunarono tutti ai piedi di un cespuglio, timorosi.
“Non temete, non voglio farvi del male. Ho solo bisogno di sapere dove sono, perché mi trovo qui, come fare per tornare a casa … se qualcuno non mi aiuta credo che diventerò matto!”
“Noi siamo gli gnomi della Foresta – disse il più vecchio di loro. Abitiamo qui e lavoriamo giorno e notte perché dobbiamo bonificare la palude. Toglieremo i cespugli del sottobosco e poi porteremo molta terra, per interrare gli stagni e gli acquitrini.”
“Ma è un lavoro che non finirà mai! E perché volete togliere la palude?” si meravigliò David.
“Questa è la missione che ci è stata affidata dalla Fata della Foresta dei Sogni Perduti e dal mago degli gnomi. Il Drago malvagio abita nella Palude. Questa è la sua casa, il suo rifugio. Qui trova protezione e nutrimento. Quando la palude non ci sarà più, anche il drago dovrà uscire allo scoperto. Purtroppo le nostre forze sembrano non bastare mai. Appena noi abbiamo tagliato, gli arbusti ricrescono e il nostro lavoro diventa inutile. Non riusciremo mai a compiere il nostro lavoro, senza l’aiuto del giovane cavaliere!”
“Il giovane cavaliere? Anche i folletti hanno parlato del giovane cavaliere che doveva arrivare da lontano a liberare il principe Elmo!”
“Tu hai incontrato i folletti? Allora se sei passato dalla loro terra e sei riuscito a vederli, devi arrivare da oltre la Foresta, da oltre i monti, dal Paese delle Antiche Storie! Tu devi essere il giovane David! Tu sei colui che può ridare la libertà a tutti noi!”
“Ormai sono stanco di ripeterlo. Io non sono un cavaliere! Sono un ragazzo, non so neanche come sono capitato qui, sono stanco, ho freddo, ho sonno e questa storia mi ha stancato!”
Il vecchio gnomo scosse la testa. “Non importa come ci sei arrivato, giovane David. Ora sei qui e non puoi tornare indietro. Non possiamo esserti di aiuto. Sappiamo solo che un’antica storia ti ha portato qui e che hai una missione da compiere. Solo tu puoi sconfiggere il Drago, liberare Elmo ed Aurora e restituire a tutti noi la nostra libertà e la serenità che avevamo prima dell’incantesimo. Fai attenzione, guardati da ogni fruscio, da ogni rumore. Il nostro nemico può nascondersi dovunque. Abbi fiducia però. Anche il nostro mago è nella palude. Egli potrà aiutarti, se seguirai la sua luce”
“La sua luce? Quale luce?” David era sempre più sconcertato. La storia si faceva sempre più misteriosa e intricata.
Improvvisamente la Palude sembrò scossa da un terremoto. Un ruggito sordo attraversò la nebbia, il vento scosse gli alberi e agitò le acque, sollevando onde fangose.
Gli gnomi si sparpagliarono sparendo nella palude.
“Il Drago! Il Drago si è svegliato!”
“Eih, dove andate? – gridò David – Non mi lasciate da solo! Non ho nulla con cui combattere!”
Ma gli rispose solo l’orribile ruggito del Drago, sempre più vicino, sempre più spaventoso.
David si guardò intorno alla disperata ricerca di una qualsiasi arma di difesa, ma trovò solo dei sassi e un grosso e lungo ramo appuntito.
“Avessi almeno la mia fionda! – pensò con rammarico – Di solito la tengo sul comodino, vicino al libro di favole. Perché non l’ho presa?”
Ma era inutile pensare ai “se” e ai “ma” … Il Drago si stava avvicinando pericolosamente e non c’era possibilità di fuga. Nessuna grotta, nessun antro dove ripararsi… Doveva per forza combattere.
Non c’era più tempo. L’ombra del Drago si stagliava minacciosa di fronte a lui. Il suo alito maleodorante ammorbava l’aria, fiamme rossastre uscivano dalle sue narici, miste ad un fumo grigio che si mescolava alla nebbia. La lunga coda crestata batteva l’acqua schizzando ondate di fango tutt’intorno. David era accecato dal bagliore del fuoco e gli occhi bruciavano per il fumo acre. Indietreggiò stringendo il lungo ramo in una mano e i sassi nell’altra.
Il Drago si accorse di lui e levò un ruggito terrificante: aveva riconosciuto il suo nemico.
Avanzò fiammeggiando, levando gli artigli nell’aria per colpire il suo avversario. David indietreggiò ancora e scagliò un sasso mirando alla testa del mostro.
Il sasso colpì il Drago di striscio, senza ferirlo, accrescendo la sua furia. Balzò in avanti, le zampe anteriori alzate. Inorridito David scorse aggrappata alle creste sul capo del mostro un’esile sagoma umana, una donna immobile e disarticolata come una bambola di pezza.
“Aurora! Mio Dio, fai che sia viva, che sia solo svenuta!” – pregò David brandendo il suo ramo come una lancia.
Cercò di colpire il Drago, riuscì a lacerargli la pelle sul petto, ma il mostro gli conficcò gli artigli nella spalla. David sentì un dolore lancinante e il sangue fluire e bagnargli la pelle.
Barcollò, colto dalla nausea e pensò di svenire, ma si riscosse pensando alla principessa prigioniera. Lanciò un’altra pietra, riuscendo a colpire la testa del mostro che ruggì per la rabbia. Si lanciò furioso contro il ragazzo, deciso a farlo a pezzi. David cercò di colpirlo col bastone, di sfuggire agli artigli, ma si ritrovò con le spalle contro un albero, in trappola.
Pensava di essere già condannato, quando girandosi, vide al bordo della Foresta dei Sogni Perduti una nuvola d’oro, come polvere di stelle e , in mezzo, Viola che lo esortava:
“Segui la luce! Vieni verso la Foresta, segui la luce!”
“La luce … non vedo nessuna luce! Ho bisogno di un’arma, non di un enigma!”
Raccogliendo tutte le sue forze, David si divincolò dalle zampe del Drago e corse, corse, cadendo più volte nel fango e rialzandosi, verso la foresta. Il Drago lo rincorse, i suoi artigli gli graffiarono la schiena e le gambe, il fuoco gli bruciò la pelle. Cadde ancora nel fango e la belva gli fu sopra. Pensò di morire. Alzò disperato gli occhi e scorse ancora Viola, un po’ più vicina:
“Segui la luce, non arrenderti! La luce ti salverà!”
Con la forza della disperazione, David strisciò nel fango, riuscì a rialzarsi e a correre via.
Improvvisamente, David scorse vicino a sé un omino alto quanto gli gnomi della Foresta, vestito con giubba e calzoni rossi e lo stesso buffo cappello a punta. La barba ispida e grigia gli copriva quasi tutta la faccia, ma lasciava vedere due occhietti vivi e buoni. L’omino teneva un sacco pieno di strane pietre lucenti, come se racchiudessero la luce della luna e a guardarle, l’occhio si perdeva.
“Prendi le pietre, David – disse l’omino – e colpisci il Drago in mezzo agli occhi con tutta la tua forza!”
Il Drago era vicinissimo. David prese una pietra lucente e la lanciò, riuscendo a colpirlo in mezzo agli occhi. La Bestia urlò per il dolore e vacillò, ma non cadde.
Un’altra pietra andò a segno. Questa volta il Drago si piegò sulle ginocchia, tramortito. La terza pietra lo fece cadere, gemendo. Rantolò e poi fu il silenzio. Il potente Drago della Palude era morto.
Era finita, finalmente. Un innaturale silenzio copriva ora la palude. David si guardò intorno, non credendo di essere ancora vivo. Raccolse la pietra della sua vittoria e la fissò. La sua luce si diffondeva intorno delicata e candida come quella della luna.
Improvvisamente un urlo orribile squarciò la quiete. Fosca apparve, tremenda nella sua furia, avvolta da una tormenta di neve, gli occhi iniettati di sangue.
“Piccolo intrigante ficcanaso! Non riuscirai a distruggere la mia opera! Tornatene ai tuoi giochi, ai tuoi libri, al tuo mondo! Non ti servirà l’aiuto di quella piccola maldestra di Viola, né quello di quel vecchio imbecille con le sue pietruzze lucenti! Distruggerò te, come ho distrutto Iridia. Elmo sarà mio, solo mio per sempre!”
Con un ghigno satanico la Strega scagliò uno dei suoi fulmini su David. Egli si scostò, rotolando sul terreno. Dove prima era la sua testa, vide con orrore un cratere fumante, scavato dal fuoco caduto. Intanto altre saette erano partite.
“Usa il cristallo come scudo!” gridò l’omino.
Appena in tempo, David alzò la pietra lucente che catturò i fulmini e li riflesse, scagliandoli contro la Strega. Colpita a morte, Fosca si dissolse in una nuvola di fumo nero. Il silenzio tornò ad avvolgere la palude, pesante e minaccioso.
Stremato, David si accasciò al suolo. Stette per un po’ con gli occhi chiusi, cercando di riprendere le forze. Viola e l’omino delle pietre vegliarono il suo riposo e attesero che si riprendesse. Quando riaprì gli occhi, il ragazzo scorse i suoi amici vicino a lui e, poco più in là, il corpo immobile del Drago. Sulla sua schiena, stava ancora Aurora, come addormentata.
“Aurora è morta – si disperò David – non sono riuscito a salvarla!”
L’omino ridacchiò e gli porse la pietra più luminosa.
“Concludi la tua opera. Tocca il Drago e Aurora con questa pietra e l’incantesimo sarà definitivamente sconfitto.”
David si avvicinò alla Bestia e la toccò con la pietra magica. Il grande corpo del Drago lentamente si ridusse in cenere e disparve. Restò sul terreno il corpo di un giovane bellissimo, immobile, accanto ad Aurora. Piano piano, il giovane sembrò svegliarsi e prese a muoversi. Si alzò a sedere, guardandosi attorno smarrito con i suoi occhi azzurri pieni di tristezza. Scorse accanto a sé Aurora e senza parlare, le accarezzò il viso.
La principessa si svegliò a quel leggero tocco, alzò lo sguardo sul giovane e lo riconobbe.
Era il principe Elmo, così come lo ricordava nei suoi sogni di fanciulla, prima che sparisse nell’incantesimo della strega.
Gli occhi del principe non erano gelidi come dicevano tutti, ma solo immensamente tristi.
La buona principessa vi lesse il dolore e vide anche, dietro lo sguardo, un animo buono finalmente libero dalle catene del maleficio. Seppe subito di essere ancora più innamorata di lui e di volerlo sposare.
I due giovani si guardarono negli occhi e, senza parlare, si scambiarono la loro promessa d’amore. Tenendosi per mano, si avvicinarono a David, che, felice e incredulo, li fissava senza parole.
“Grazie per avermi liberato – disse Elmo – per avermi restituito la vita e l’amore di Aurora. Non ti dimenticheremo.
I due giovani si incamminarono verso la Palude, verso il castello nel Paese delle Ombre.
Ma non c’era più la palude. La nebbia si era diradata, al posto degli acquitrini si stendevano a perdita d’occhio prati verdi coperti di fiori e campi coltivati. Il Paese delle Ombre era ora inondato dalla luce del sole. I folletti della Palude e gli gnomi della Foresta saltellavano cantando tra le erbe e tutto era in letizia.
Davanti agli occhi di David, dove prima c’era l’oscura palude, si stendeva Iridia, finalmente tornata a nuova vita, con tutta la sua bellezza, la sua luce, i suoi colori. Anche i cittadini di quello sfortunato Paese si risvegliarono dal loro lungo incubo e tornarono a fare festa alla pace ritrovata, al loro principe finalmente libero, alla nuova principessa.
I giovani principi salutando ancora, si avviarono verso la loro nuova vita.
David si girò e ritrovò Viola e l’omino.
“Tu sei Viola, ti ho riconosciuta dalla storia. Ma tu chi sei?” – chiese all’omino.
“Sono Acchiappasogni, il mago degli gnomi. Prendo le mie pietre magiche dove nasce l’Arcobaleno. Esse racchiudono i colori della luce del giorno e poi io con esse catturo anche la luce della luna e delle lucciole.
Sono pietre magiche che imprigionano i brutti sogni e li seppelliscono nella Foresta dei Sogni Perduti.”
“Dove nasce l’Arcobaleno?” – chiese David.
“Nasce sotto il grande ciliegio nel Paese delle Antiche Storie, proprio da dove vieni tu.
E’ un Paese magico, dove muoiono le paure e nascono i sogni belli. E’ un Paese fatto di parole che abitano nei libri. Tieni una delle mie pietre accanto al tuo letto, vicino al tuo libro di favole. I mostri della notte e delle ombre saranno sconfitti, catturati dalla magia dell’Arcobaleno. Non c’è posto per la paura nel Paese delle Antiche Storie”.
E così improvvisamente com’erano venuti Viola e il Mago Acchiappasogni scomparvero nella Foresta.

“Svegliati, David, è ora di alzarsi! Ti sei di nuovo addormentato sul libro!”
David aprì gli occhi e si ritrovò nel suo letto, col libro di favole aperto sul petto.
E dov’era la Foresta? E Viola, Elmo, Aurora? E il Mago Acchiappasogni? Allora era stato solo un sogno!
Sospirando, David cominciò ad alzarsi. Chiuse il libro e lo ripose sopra il comodino e ….. fu allora che vide posata la pietra chiara che gli aveva dato il Mago Acchiappasogni. La toccò incredulo. Era vera, fredda, ma emanava uno strano calore e tanta luce.
Ma allora … Era accaduto davvero? Confuso guardò fuori dalla finestra. Dalla terra, sotto il grande ciliegio, si alzava uno splendido arcobaleno e, guardando bene, sopra sembrava esserci una piccola fata cosparsa di luce e là, tra i rami dell’albero, un piccolo omino vestito di rosso sembrava ridesse.